sabato 22 maggio 2010

“Leggere: una caccia di frodo”

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Recentemente, Alvin Toffler ha annunciato la nascita di una «nuova specie» umana, generata dal consumo artistico di massa. Un’umanità transumante e vorace fra i pascoli dei media…
Quest’analisi profetica riguardava tuttavia solo la folla che consuma «l’arte». Ma da un’inchiesta del Secrétariat d’Etat aux affaires culturelles (dicembre 1974) risulta a qual punto soltanto un’élite benefici di questa produzione…
In realtà sono sempre le stesse categorie che ne approfittano: la cultura, come il denaro, «va sempre nelle tasche dei ricchi». I più non circolano affatto in questi giardini dell’arte. Ma sono presi nelle reti dei media, quelle della televisione, della stampa, del libro, eccetera. Anziché il nomadismo, avremmo dunque una «riduzione» e un parcheggio…
In generale, quest’immagine del «pubblico» non si ostenta. Ma abita non dimeno la pretesa dei «produttori» di informare una popolazione, ovvero di «dare forma» alle pratiche sociali. Le proteste stesse contro la volgarizzazione e la volgarità dei media derivano spesso da una pretesa pedagogica analoga; portata a credere che i propri modelli culturali siano necessari al popolo per l’elevazione degli spiriti e delle menti, l’élite preoccupata dal «basso livello» dei giornali o della televisione postula sempre che il pubblico sia plasmato dai prodotti che gli vengono imposti. Ma ciò significa fraintendere l’atto di «consumare». Si presume che «assimilare» significhi necessariamente «divenire simile a» ciò che si assorbe, e non «renderlo simile» a ciò che si è, farlo proprio, appropriarsene o riappropriarsene. Fra i due significati possibili si pone una scelta, innanzitutto in virtù di una storia il cui orizzonte deve essere tratteggiato. «C’era una volta…»…
Nel corso di questa evoluzione, l’idea di una produzione della società attraverso il sistema «scritturale» non ha cessato di avere come corollario la convinzione che, con maggiore o minore resistenza, il pubblico sia plasmato dallo scritto (verbale o iconico), divenga simile a ciò che riceve e infine venga impresso attraverso e come il testo che gli è imposto.
Ieri questo testo era il manuale scolastico. Oggi è la società stessa. Un testo che ha forma urbanistica, industriale, commerciale o televisiva. Ma la trasformazione che ha segnato il passaggio dall’archeologia scolastica alla tecnocrazia dei media non ha scalfito il postulato di una passività inerente al consumo – postulato che dev’essere giustamente rimesso in discussione…
Nel corso di tre secoli di storia si è creata una situazione di fatto. Il funzionamento tecnico e sociale della cultura contemporanea gerarchizza queste due attività. Scrivere significa produrre il testo; leggere significa riceverlo da altri senza lasciarvi il proprio segno, senza rifarlo…
Ciò che va rimesso in discussione, non è, purtroppo, questa divisione del lavoro (che è fin troppo reale), bensì l’assimilazione della lettura alla passività. In effetti, leggere significa peregrinare in un sistema imposto (quello del testo), analogo all’organizzazione fisica di una città o di un supermercato. Ma è stato dimostrato che «qualsiasi lettura modifica il suo oggetto», che (come diceva Borges) «una letteratura differisce da un’altra meno per i suoi testi che per i modi in cui vengono letti», e che infine un sistema di segni verbali o iconici è una riserva di forme che attendono dal lettore il loro senso. Se dunque «il libro è un effetto (una costruzione) del lettore», l’operazione compiuta da quest’ultimo dev’essere concepita come una sorta di lectio, ovvero come una produzione propria del «lettore». Questi non sostituisce l’autore né prende il suo posto. Inventa attraverso i testi cose diverse dalla loro «intenzione iniziale»…
Che si tratti del giornale o di Proust, il testo ha significato solo attraverso i suoi lettori; cambia con loro; trova un ordine secondo codici di percezione che gli sfuggono. Diviene testo solo nel rapporto con l’esteriorità del lettore, attraverso un gioco di implicazioni e di astuzie tra due tipi di «aspettative» combinate: quella che organizza uno spazio leggibile (una letteralità), e quella che organizza un percorso necessario alla effettuazione dell’opera (una lettura)...
Chi erige la barriera che trasforma il testo in un’isola sempre fuori dalla portata del lettore? Questa finzione condanna i consumatori all’assoggettamento perché da quell’istante essi sono sempre colpevoli d’infedeltà e d’ignoranza di fronte alla «muta» ricchezza del tesoro così accantonato. E’ infatti evidente che l’idea di un tesoro nascosto nell’opera, cassaforte del senso, non ha come fondamento la produttività del lettore, bensì l’istituzione sociale che surdetermina il suo rapporto con il testo…
L’uso del libro da parte dei soggetti privilegiati lo trasforma in un segreto di cui essi sono i «veri» depositari. Erige fra esso e i suoi lettori una frontiera che può essere oltrepassata solo con un passaporto rilasciato da questi interpreti, trasformando la loro lettura (anch’essa legittima) in una «letteralità» ortodossa che riduce le altre interpretazioni (egualmente legittime) all’eresia (in quanto non «conformi» al senso del testo) o all’insignificanza (destinandole così all’oblio)…
E’ dunque la gerarchizzazione sociale che nasconde la realtà delle pratiche di lettura o le rende irriconoscibili. Fino a ieri la Chiesa, con la sua cesura tra chierici e «fedeli», considerava la Scrittura come una «Lettura» indipendente dalle interpretazioni dei lettori e custodita dagli esegeti: l’autonomia del testo era la riproduzione dei rapporti socioculturali all’interno di un’istituzione in cui gli addetti stabilivano come dovesse essere interpretato. Con l’indebolimento di quest’ultima, fra il testo e i suoi lettori è apparsa quella reciprocità ch’essa nascondeva … Oggi, l’isolamento dei lettori dal testo di cui il produttore o il maestro si considerano padroni avviene attraverso i dispositivi sociopolitici della scuola, della stampa o della televisione. Ma dietro lo sfondo teatrale di questa nuova ortodossia si nasconde (come già avveniva ieri) l’attività silenziosa, trasgressiva, ironica o poetica, di lettori (o telespettatori) che mantengono le distanze nel privato all’insaputa dei «padroni» del pensiero…
Il lettore è spinto così da questa struttura gerarchica a conformarsi all’«informazione» distribuita da un’élite, ma si prende la sua rivincita insinuando astutamente la sua inventività nelle falle di un’ortodossia culturale…
Rivelare alcuni aspetti dell’attività del leggere indica già di per sé come essa sfugga alla legge dell’informazione.
«Io leggo e sogno […]. La mia lettura sarebbe dunque la mia impertinente assenza. La lettura sarebbe dunque un esercizio di ubiquità?» Esperienza iniziale, e anche iniziatica, leggere significa essere altrove, là dove essi non sono, in un altro mondo; significa creare una scena segreta, luogo in cui si entra e si esce a piacimento…
Il lettore è un creatore di giardini che miniaturizzano e collazionano un mondo, un Robinson in un’isola da scoprire, ma è anche «in preda» a un’euforia che introduce il molteplice e la differenza nel sistema di scrittura di una società e di un testo…
Lungi dall’essere degli scrittori, che fondano un luogo proprio, eredi dei lavoratori d’un tempo ma sul terreno del linguaggio, scavatori di pozzi o costruttori di case, i lettori sono dei viaggiatori; circolano su territori altrui, come nomadi che praticano il bracconaggio attraverso pagine che non hanno scritto. La scrittura accumula, immagazzina, resiste al tempo creando un luogo e moltiplica la sua produzione attraverso una riproduzione sempre più allargata. La lettura invece non si garantisce contro l’usura del tempo (ci si dimentica e si dimentica), non conserva quanto ha acquisito, e ciascuno dei luoghi che attraversa è ripetizione del paradiso perduto.
In effetti, non ha un luogo: Barthes legge Proust nel testo di Stendhal; il telespettatore legge il paesaggio della sua infanzia nel reportage d’attualità. Da quale luogo, simile e tuttavia diverso da quello dell’immagine proiettata, è stata attratta la telespettatrice che dice del programma della sera prima: «Era stupido, ma non riuscivo a smettere di guardarlo»? Lo stesso vale per il lettore: il suo luogo non è qui o , l’uno o l’altro, ma né l’uno né l’altro, è fuori e dentro al tempo stesso, perde sia l’uno che l’altro mescolandoli, associando testi assopiti ch’egli risveglia e ospita, senza mai esserne però il proprietario. In questo modo, egli schiva sia la legge di ciascun testo in particolare, sia quella dell’ambiente sociale


Michel de Certeau, L'invenzione del quotidiano, 2001



... è stato dimostrato che «qualsiasi lettura modifica il suo oggetto», che (come diceva Borges) «una letteratura differisce da un’altra meno per i suoi testi che per i modi in cui vengono letti»...









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Orario. Lunedì e giovedì ore 8.00 - 17.30; martedì, mercoledì, venerdì ore 8.00 - 14.00. Sabato e domenica chiuso
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#4 . . . . . . 30 Aprile 2010 - 14:24
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... Lo schema di analisi della biblioteconomia che io contesto ... Non si è definito cosa sia una Biblioteca Pubblica (o meglio si è dimenticato) e si contrappongono lettori del “tipo” studenti e lettori di “tipo” diverso a fronte dei quali ci sarebbe una biblioteca per ogni tipo, o una biblioteca che debba adattarsi a l’uno o all’altro e scegliere a quale “tipo” rivolgersi o, peggio accontentare entrambi “gli usi possibili” fino a dover accontentare usi che prescindono da libro.
Invece se parti dall’idea che la biblioteca è le sue raccolte (librarie o digitali) e che le deve mettere a disposizione di chi le vuole leggere, il dilemma non si pone. Questo perché c’è un solo uso possibile da “accontentare” e quindi un solo pubblico: leggere le raccolte della biblioteca... ...

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Dino, su 14 maggio, 2010 a 22:13 Ha detto:
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“ATTENZIONE: LA BIBLIOTECA SARA’ APERTA ANCHE DOMENICA 9-16-23-30 MAGGIO CON ORARIO 11-19”

Firenze. Nella principale sede della “biblioteca” comunale questa novità sugli orari mi ha confermato come anche i bibliotecari “aperti al pubblico” (analogamente ai bibliotecari “di conservazione”) abbiano stravolto la definizione di “biblioteca” a danno dei Lettori... ...

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Regione Toscana
Testo unico delle disposizioni in materia di beni, istituti e attività culturali, 2010
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... una definizione “estensiva” di biblioteca all’Art. 1, comma 2 :
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“2. Gli interventi della Regione negli specifici settori perseguono i seguenti obiettivi: …. d) sviluppo dei servizi offerti dalla rete documentaria, composta da biblioteche, archivi ed altri istituti documentari, e della loro fruizione da parte dei cittadini, promuovendo l’innovazione degli spazi, dei linguaggi e delle tecnologie, in coerenza con i diversi bisogni di informazione, formazione e impiego del tempo libero dei cittadini”

L’innovazione dei “linguaggi” sarà sicuramente vissuta, secondo me, come una ghiotta occasione per far passare per “bibliotecaria” qualsiasi attività venga in mente di fare tra le “pareti” di una biblioteca toscana, anche quelle per niente attinente ai servizi collegati al libro ed alla lettura... ...
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( Presto, é una facile previsione, i Lettori rimpiangeranno la vecchia biblioteca, sulla cui parete c'era scrtto:
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SILENZIO



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